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Punto e a capo

Il reality è morto, viva il docu!

“Temptation Island 2024” e “The Kardashians” hanno una cosa in comune: un tempo li avremmo chiamati solo reality, ma oggi hanno bisogno del “docu” davanti per legittimarsi e mantenere una parvenza di coerenza. Perché di reale lì non c’è proprio nulla…

di Sara Radegonda | 12 Luglio 2024
Foto: Ufficio Stampa

Se il concetto di “reale” ha messo in crisi secoli di storia del pensiero, tale eredità oggi ha assunto sfumature sempre più complesse, a causa dell’ingresso di nuovi concetti come “virtuale” o “digitale”. La complessità del rapporto reale-non reale ha dovuto fare i conti con il “mediato”: i media si sono infatti introdotti nel sentiero, ampliando infinitamente la finestra di possibili interpretazioni. Fatto è che complesso e difficile vanno a braccetto, rendendo il processo di comprensione sempre più ostico.

Cosa resta dei reality show

La medesima tortuosità che riguarda il dibattito sul concetto di reale, è da rintracciare in quella che – astraendo di molti piani – si traduce nell’evoluzione dei reality (che ne ha portato oggi alla morte certa). Sì, stiamo parlando proprio di programmi televisivi (anche questa definizione non è priva di limiti) come il Grande Fratello o L’Isola dei famosi, oppure per citare parenti oltreoceano, The Bachelor, il programma feticcio del clan re dei reality, i Kardashian. Programmi che oggi, nelle loro mille sfaccettature (tutte accompagnate dal sostantivo “show”), costituiscono l’unica linfa vitale rimasta al piccolo schermo, dimostrando di essere in grado di catturare l’attenzione anche di fronte ad una scelta di intrattenimento che tende all’infinito. Tuttavia dalla prima edizione italiana de Il Grande Fratello molte cose sono cambiate, tanto da rendere necessario l’ingresso del “docu” a completare quel “reality” che ormai di reale non ha più nulla…

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MARTINA E RAUL_ temptation island pagelle terza puntata
Foto: Ufficio Stampa

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Perché Temptation Island non è più un reality?

Era il 1973 quando la televisione americana mandava in onda il suo prima reality. An American Family infatti era una serie di puntate sulla vita “normale” di una “normale” famiglia americana ripresa, nella sua quotidianità, da una piccola troupe cinematografica. Un modello – che aveva origine dal banale assunto di spiare dal buco della serratura la vita degli altri – che avrebbe poi ispirato i grandi reality della storia della televisione. Ma a 50 anni di distanza dalla messa in onda di An American Family e a 24 dalla prima edizione Italiana de Il Grande Fratello, è passata talmente tanta acqua sotto i ponti da mettere in crisi un modello che si credeva immortale.

Negli ultimi anni, infatti, la consapevolezza del pubblico in merito ai meccanismi che sottendono i programmi televisivi ha palesato il grande limite dei reality show, costringendo le produzioni a virare verso quel “trash” forzato che conosciamo bene. E in questo l’evoluzione di un reality come Il Grande Fratello, sfociato – come ancora di salvataggio – nella versione Vip, fa scuola.

Tuttavia, di fronte all’imposizione delle piattaforme streaming e ai cambiamenti nei metodi di fruizione, il concetto di reality è arrivato ad un punto di non ritorno. Infatti il fondamento ultimo non è più tanto quello di spiare, quanto più di confezionare una vera e propria storia con tanto di montaggio certosino e una colonna sonora perfetta per “viralizzare” il momento (come insegna Temptation Island). Dunque lo spirito sociale dei reality è passato in secondo piano, a favore di una versione più “docu” (che vuol dire tutto e niente) che sottolinea un cambiamento verso un intrattenimento che insegue l’obiettivo delle conversazioni online, piuttosto che l’aspetto più “real”.

Come la storia della televisione insegna, i generi non muoiono ma si evolvono trasformandosi e ibridandosi in qualcosa di nuovo. Questo non vieta che i veri reality ci mancheranno, eccome.

foto: Ufficio Stampa