L’Amica Geniale di Elena Ferrante è il miglior libro del secolo. E non il più bello, come scrivono alcuni. Lo ha stabilito il New York Times. Il quotidiano americano ha fatto scegliere a mezzo migliaio di luminari della letteratura – tra cui personalità come Stephen King, James Patterson, Sarah Jessica Parker – i loro 10 volumi preferiti tra quelli pubblicati tra il primo gennaio del 2000 a oggi. E ad occupare il primo posto della classifica è stato il primo libro della quadrilogia napoletana dedicata al racconto dell’amicizia tra le protagoniste Elena e Lila, scritto da Elena Ferrante. Un primato che stupisce, ma non per la qualità della scrittura né per il richiamo mondiale dei romanzi, quanto per un dettaglio che indirettamente accende un riflessione profonda sulla fama e il successo.
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In una società fatta di divismo ostentato e una spasmodica ricerca della fama, fa riflettere che l’identità della scrittrice del miglior libro del secolo sia attualmente sconosciuta. Elena Ferrante è stata candidata per tre volte al Premio Strega, è stata inclusa da Time tra le cento persone più influenti al mondo nel 2016, eppure il mistero sul volto dietro alla firma persiste, rappresentando il più grande mistero della letteratura e della narrativa italiane contemporanee – che ha attirato l’interesse anche del resto del mondo -. Questo dettaglio risulta quasi surreale, soprattutto se inserito in un contesto sociale in cui tutto è esposto alla vetrina dei social.
Eppure la componente misteriosa e la curiosità del pubblico nei confronti dell’identità dell’autrice non sembrano comunque essere il dettaglio più interessante di questa storia. Perché Elena Ferrante è solo una delle ultime, in ordine cronologico, a scegliere il privilegio dell’anonimato continuando una tradizione lunga secoli; eppure il cuore pulsante della questione, in rapporto alla società odierna, è la volontà di continuare a tenere segreta l’identità, rinunciando alle luci della ribalta anche dopo tutto il richiamo mediatico e i riconoscimenti delle sue opere. Una tentazione a cui, invece, Erin Doom non ha saputo resistere: la giovane scrittrice, che ha firmato il romanzo di successo Il Fabbricante di Lacrime (divenuto anche un film Netflix), ha tenuto la propria identità segreta, fino a quando il grande successo del romanzo l’ha spinta ad uscire allo scoperto. Ma questo svelamento sembra aver spento un po’ la fiamma dell’interesse del pubblico.
Motivo per il quale, il caso di Elena Ferrante risulta virtuoso. Non solo la scrittrice – di cui si sa solo che è nata a Napoli – ha deciso di far parlare le sue opere e non il suo volto, ma soprattutto ha scelto di non rinunciare anche di fronte al successo mondiale e all’imperante cultura del selfie. Elena Ferrante ha scelto di rifuggire l’esposizione palese, seguendo di fatto l’esempio di personaggi illustri del passato e del presente che hanno fatto dell’anonimato la propria cifra stilistica. Come Paolo Sorrentino fa dire a uno dei suoi personaggi in The Young Pope: “Lo scrittore più importante degli ultimi 20 anni? Salinger. Il regista? Kubrick. L’artista? Banksy. Il gruppo di musica elettronica? I Daft Punk. La più grande cantante italiana? Mina. Il filo invisibile che lega questi personaggi? Nessuno di loro si lascia fotografare“. Una scelta che conferma quanto il mistero sia una componente fondamentale per perseguire il divismo, quello vero. Perché i veri divi non sono su Instagram.