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Fuorisalone

Da grande voglio disobbedire

Da dove nasce questa tendenza collettiva a vivere esperienze tutte uguali?

di Gloria Contrafatto | 7 Aprile 2025

A volte mi fermo e mi chiedo: perché siamo così attratti dal fare quello che fanno tutti? Perché seguiamo l’onda, anche quando ci porta in direzioni che non sentiamo nostre, anche quando ci trascina in luoghi, esperienze, scelte che non ci danno nulla, che ci svuotano invece di riempirci?

Quante volte ci ritroviamo a dire “sì” a qualcosa che non ci entusiasma solo per sentirci parte? “Ok, ci vengo anche io”, anche se dentro avremmo preferito altro. Anche se magari, in quel momento, saremmo stati più felici a casa, a scrivere, a pensare, a respirare. Ma l’idea di restare fuori dal cerchio ci spaventa. Il terrore di non esserci, di non poter dire “anch’io ero lì”, è più forte della noia che proviamo durante quella serata, quella vacanza, quella cena. Perché abbiamo così paura di essere diversi?

È come se, fin da piccoli, ci insegnassero che la cosa più importante è appartenere. E per appartenere, spesso, devi smussare gli angoli, mettere a tacere le stranezze, le sfumature, tutto ciò che ti rende unico. Per essere accettato, devi diventare prevedibile, simile, normale. E così, piano piano, senza nemmeno accorgercene, iniziamo a replicare gesti, desideri, sogni che non sono nostri. Copiamo outfit, opinioni, percorsi di vita. Facciamo tutto quello che “si fa”, anche se non ci somiglia.

E qui arriva la parte più triste: ci abituiamo. Il cervello si adatta, il corpo si adegua. Le cose che un tempo ci sembravano “non per noi” diventano la norma. E quando tutto ci sembra uguale — le facce, i locali, le mete di viaggio, le caption su Instagram — qualcosa dentro si spegne. Una piccola voce che prima ci diceva “tu sei altro”, si fa sempre più flebile. Quella voce siamo noi. Il nostro vero io. Quello autentico. Ma a forza di ignorarlo, si zittisce.

Il corpo lo sente. Quando viviamo in modo disallineato da ciò che siamo, lo percepiamo come noia, come stanchezza, come una sensazione di “non senso”. Il cuore non accelera, gli occhi non brillano. Il nostro sistema nervoso lo capisce subito quando stiamo recitando, quando non c’è passione, quando non c’è verità. È un meccanismo umano, primitivo: quando siamo in uno spazio autentico, il corpo si rilassa, si apre. Quando invece fingiamo, entra in tensione. Ci irrigidiamo, ma sorridiamo comunque. Perché? Perché “è così che si fa”.

Design week e fuorisalone, un evento dietro l’altro come un vortice

E in questi giorni, con il Fuorisalone che invade ogni angolo della città, questo meccanismo si sente ancora di più. È pieno di amici che ci chiedono: “Tu vai lì?”, “Tu ci sarai?”
Foto su Instagram, storie, post, eventi, liste. Una pressione psicologica costante. Tutto è un devo esserci anch’io, un devo farmi vedere, un devo raccontarlo.
Tutto è un “devo”. È una corsa.

Ma fermiamoci un attimo. Respiriamo.
Non c’è nessun obbligo, nessuna gara da vincere. Solo il piacere — se vogliamo — di vedere cose belle, di riempirci gli occhi e l’anima.
Di lasciarci ispirare.

Fuorisalone 2025, lasciatevi cogliere dalla bellezza

Vi auguro che durante questo Fuorisalone i vostri occhi siano attratti da qualche dettaglio, piccolo o grande, che possa incuriosirvi, stimolarvi, aprire nuovi confini.
Che vi lasciate cogliere dalla bellezza, senza forzarla.
Che viviate queste giornate non come una corsa, ma come un’occasione per ritrovare una parte di voi.

La stessa bellezza che ha ispirato i grandi artisti e designer nel creare le opere che oggi condividono con noi. Come un gesto intimo, un pezzo della loro anima che ci stanno lasciando intravedere.
Siate curiosi. Siate affamati di arte, di creatività, di domande.
Perché solo così, forse, torneremo a sentire davvero.
E a essere davvero noi.