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Andrea Anconetani e Davide Eusebi danno voce e suoni al genio di Calvino

Da Classima Club la lettura Concerto per Voce del Marcovaldo di Italo Calvino Questa sera presso Classima Club (a Milano in Ripa di Porta Ticinese, 9) si terrà la lettura Concerto per Voce (Andrea Anconetani) e Percussioni (Davide Eusebi): la voce narrante di Andrea Anconetani legge quattro tra i più bei racconti del Marcovaldo di […]

di Ruggero Biamonti | 21 Marzo 2019
Foto: Maurizio Silvestrini

Da Classima Club la lettura Concerto per Voce del Marcovaldo di Italo Calvino

Questa sera presso Classima Club (a Milano in Ripa di Porta Ticinese, 9) si terrà la lettura Concerto per Voce (Andrea Anconetani) e Percussioni (Davide Eusebi): la voce narrante di Andrea Anconetani legge quattro tra i più bei racconti del Marcovaldo di Italo Calvino, mentre Davide Eusebi disegna efficacemente, con le sue percussioni alla Marimba e Vibrafono, i suoni della città sferragliante e quelli più intimi e leggeri che sono propri del mondo poetico del protagonista. Segue degustazione enogastronomica guidata da Antonio Tombolini.

Una delle letture chiave in quel periodo fluttuante e indefinito che si stende tra la fine dell’infanzia e l’inizio dell’adolescenza è stata quella di Marcovaldo, spesso insieme a un altro testo di Italo Calvino, il Barone Rampante. Riprenderlo in mano oggi significa rimettersi in contatto con una fase prossima quanto rimossa della storia del nostro paese, quella dell’urbanizzazione e industrializzazione galoppante, con l’immigrazione interna, l’abbandono delle campagne, lo sradicamento di una nazione contadina che, nel migliore dei casi, diventava operaia ma, molto spesso, restava ai margini della società e della città. In questo senso Marcovaldo (uscito nel 1963) è il proseguimento ideale di un altro capolavoro, Miracolo a Milano, di De Sica e Zavattini, del 1951.

Foto: Maurizio Silvestrini

Sarebbe comunque riduttivo limitare il libro di Calvino, proprio come il film di De Sica/Zavattini, alla narrazione militante di un dato contesto storico e sociale: la potenza surrealista di entrambe le opere indica molto altro ancora. Innanzitutto, è la narrazione di un ambiente, quello della città della modernità industriale, grigia, anonima, incombente, caotica pur nella sua efficienza e nel suo ordine. Proprio questa piega di caos, che il libro di Calvino rintraccia e forza in ogni sua sfaccettatura, è capace di far emergere la città da sè stessa, di non renderla semplice fondale, per quanto ricco e complesso, ma vero e proprio personaggio, con scatti di umore, bizzarrie, sogni e stagioni, come indica lo stesso sottotitolo dell’opera, che è appunto Le stagioni in città. Se la città è personaggio, lo è ovviamente anche il protagonista eponimo, un manovale precario carico di prole, fuori posto nella gerarchia della vita urbana e, si sospetterebbe, fuori posto pressoché ovunque. Lo sguardo stralunato e onirico di Marcovaldo lo consegna ai margini di tutto, in una posizione assai scomoda da vivere ma che offre, proprio per la sua capacità di rovesciamento e per la sua ingenuità che costringe sempre a domandarsi, da capo, il perché e il percome, una prospettiva di grande profondità.

È in questa prospettiva che si situa la performance di Andrea Anconetani e Davide Eusebi, che (ri)leggono il Marcovaldo portandolo in scena qui e oggi. Si tratta di un’operazione autenticamente teatrale, nel senso che è la rappresentazione vivente di un testo, messo in scena in ciò che ha di più essenziale, le sue parole. La sonorità della lingua di Calvino, l’affabulazione del suo ritmo narrativo si prestano perfettamente alla vivezza della lettura recitante, mentre la gran macchina del vibrafono e della marimba di Davide Eusebi fa ben più che da tappeto sonoro, da sfondo: proprio come la città descritta nel libro, è una voce dialogante, che interloquisce con la lettura e minaccia continuamente di sommergerla. La parola, così, perde ogni stentoreità, ogni carattere ultimativo e si offre, così com’è, a una comprensione empatica, palpitante, vivente. Il testo, proprio perché nudo e fragile, diventa tanto più nitido, attuale e perturbante: dal margine, ci invita a sporgerci e a guardare oltre l’orlo per scoprire che proprio lì, all’estremo del margine, ci siamo anche noi, Marcovaldi di ogni giorno.

Foto: Maurizio Silvestrini