Sarebbero stati 70 anni contraddistinti da un’eccentrica professionalità, da un carattere poliedrico e ribelle eppure la vita di Robin Williams si è arrestata ben prima di questo traguardo, quando a 63 anni si è tolto la vita l’11 Agosto 2014, dando sfogo al tarlo interiore che già da tempo lo logorava, consegnandosi definitivamente alla malattia neurodegenerativa che l’aveva colpito. Robin è stato un medico in grado di insegnare ai “colleghi” coetanei, un “O capitano! Mio capitano” fuori dalle righe, sensibile e poetico, un padre colmo d’amore per i suoi figli, un genio per tutti, senza distinzioni d’età.
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Williams si calava nelle parti con tutto se stesso per arrivare allo spettatore in maniera completa, grazie anche alla comicità innata che ha reso il suo viso più che riconoscibile, quasi familiare. Il produttore Garry Marshall lo volle come alieno-mattatore del suo show Mork & Mindy dopo che questi si presentò al provino seduto a testa in giù: non fu il lampo di un momento ma la targa identificativa di un attore proiettato verso grandi traguardi. Infatti, il celebre gesto del saluto di Mork, il “Nano Nano” fu frutto di un’improvvisazione di Robin, che geniale, stupì l’intero set per la trovata.
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L’innata ironia dell’attore esplose vulcanicamente durante le riprese di Good Morning, Vietnam dove, interpretando il disc jockey dell’aviazione americana, Robin diede sfogo al suo talento tanto da guadagnarsi la prima nomination all’Oscar. Poi, statuario ma sorridente, l’abbiamo visto in piedi sulla cattedra declamare i versi più belli, sostenendo gli adolescenti nella loro età più turbolenta, fissando negli occhi ognuno di loro per trasmettergli l’importanza della vita e del tempo, così fugace e così prezioso: la lezione sul carpe diem oraziano è stata il fulcro del film L’attimo fuggente, capolavoro firmato Peter Weir.
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La parentesi “disneyana” non ha abbassato il tiro ma ha portato la sua eccentricità su altri lidi: in Hook-Capitano Uncino, di Steven Spielberg e nella voce del Genio della lampada magica in Aladin, Robin Williams ha dato prova di saper sostenere la difficoltà nell’interpretare personaggi così diversi tra loro. É stata la tata più famosa d’America nei panni di Mrs. Doubtfire e dopo un altro ruolo fantascientifico in Jumanji finalmente Robin si è aggiudicato la statuetta per la magistrale interpretazione in Will Hunting – Genio ribelle dove non è stato solo mentore di Matt Damon ma anche di tutti noi.
La strappalacrime storia del medico Hunter “Patch” Adams è stata l’ultima grande prova del comico, attore e sceneggiatore americano che, senza immaginarlo, trasportò sul grande schermo una storia che poi non si sarebbe tanto differenziata dalla sua vita. La lotta tra il bene e il male, incorporata dall’amore per il cinema da una parte e dal morbo di Parkinson dall’altra è stata la scintilla da cui è scaturito il malessere di Robin Williams, il male di vivere da cui neanche il cinema riuscì a tirarlo fuori. I molteplici insegnamenti elargiti dai suoi personaggi però non sono stati dimenticati dagli appassionati del cinema, che dopo anni dalla sua scomparsa, ancora lo esaltano: grazie “capitano, mio capitano”.
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