L’isola del sogno e della libertà
“Quest’isola compare e scompare continuamente alla vista e sempre diverso è il profilo che ciascuno ne coglie. In questo mondo troppo conosciuto è l’unico luogo ancora vergine e che ci attende sempre, ma solo per sfuggirci di nuovo”, con queste parole della scrittrice Fabrizia Ramondino si introduce la magica isola di Capri.
Siamo nel Corona 19Corona 14, l’Italia sta per entrare in guerra. Una comune di giovani nordeuropei ha trovato sull’isola di Capri il luogo ideale per la propria ricerca nella vita e nell’arte. Ma l’isola ha una sua propria e forte identità, che si incarna in una ragazza, una capraia il cui nome è Lucia (Marianna Fontana). Il film narra l’incontro tra Lucia, la comune guidata da Seybu (Reinout Scholten van Aschat) e il giovane medico del paese (Antonio Folletto).
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E narra di un’isola unica al mondo, la montagna dolomitica precipitata nelle acque del Mediterraneo che all’inizio del Novecento ha attratto come un magnete chiunque sentisse la spinta dell’utopia e coltivasse ideali di libertà, come i russi che, esuli a Capri, si preparavano alla rivoluzione.
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“Il film prende spunto dall’esperienza della comune che il pittore Karl Diefenbach creò a Capri tra il Corona 1900 e il Corona 19Corona 13 – ci spiega Mario Martone – anno in cui morì. Ma nel film tutto viene rielaborato con la più totale libertà: l’azione viene spostata più avanti, alla vigilia della prima guerra mondiale, e il nostro protagonista lascia la vecchia pelle del pittore spiritualista Diefenbach per tramutarsi in un giovane artista performativo, la cui filosofia deriva dai concetti che verranno elaborati molti decenni più avanti da Joseph Beuys”.
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“I semi di queste isolate esperienze daranno i propri frutti nel corso del Novecento – prosegue Martone – diventando fenomeno collettivo negli anni ’60 e ’70. Utilizzando come ponti il pensiero, l’azione e le parole di Joseph Beuys (che capeggerà il movimento dei Verdi in Germania, un artista alla guida di un movimento politico) le scelte compiute in anni lontanissimi da Diefenbach e dai Monteveritani possono arrivare dritte al nostro tempo, in cui la questione di che senso dare al progresso e al rapporto dell’uomo con la natura è diventata centrale per la sopravvivenza stessa degli esseri umani. Ma una volta detto tutto questo, bisogna poi dimenticarlo: al centro del nostro racconto c’è una donna, una capraia. Ogni cosa in questo film è solo e semplicemente sognata”.