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Don’t Look Up: l’apocalisse contemporanea dal vangelo secondo Adam McKay

Disponibile al cinema e anche su Netflix, la satira politica dell’eclettico regista mette lo spettatore davanti allo specchio della sua stessa realtà da cui ha origine un viaggio paradossale ed esilarante

di Sara Radegonda | 30 Dicembre 2021
Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence in Don't Look Up Foto: NIKO TAVERNISE/NETFLIX © 2021

Non guardate sopra“. Una frase che restituisce il medesimo effetto del paradosso dell’elefante, quel subdolo complesso psicologico per cui se all’inizio della conversazione si fa una premessa dicendo di “non devi pensare all’elefante“, dopo 10 minuti ci si ritroverà a pensare solo ed esclusivamente all’elefante. E nell’apparente insignificanza di un esempio come questo è racchiuso l’intero senso dell’ultima opera – perchè di opera si tratta – cinematografica di Adam McKay, Don’t Look Up. Al cinema e dal 24 dicembre disponibile anche su Netflix, il film immerge le radici nella nostra realtà e, portandola all’eccesso grazie ai meccanismi tradizionali – e qui geniali – della satira, tratteggia un’immagine paradossale e contraddittoria della contemporaneità.

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Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), dottoranda in astronomia, si accorge dell’esistenza di una cometa in rotta di collisione con la Terra e supportata dal professor Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) cercano di avvertire l’umanità dell’inevitabile catastrofe che distruggerà il pianeta di lì a sei mesi. L’apocalisse imminente richiede, dunque, l’intervento della Presidentessa degli Stati Uniti, interpretata da un’incredibile Meryl Streep, che si dimostra inetta e facilmente manipolabile da forze esterne dell’imprenditoria, le quali, perseguendo i propri interessi, condurranno alla condanna a morte dell’intera esistenza sulla Terra. Un disaster movie come ne abbiamo visti tanti – da Apocalypse Now a 2012 – ma che, in questo caso specifico, trova una chiave di lettura inedita, ironica, geniale, nel modo in cui è raccontata la fine del mondo. La fine del mondo siamo noi. No, non è un verso di una canzone di Jovanotti ma quello che Adam McKay vuole dirci nel suo ultimo film. Dalla sua invenzione, il cinema – dal lascito della letteratura – è stato uno strumento di narrazione della realtà, capace di andare oltre il visibile e l’immaginabile tanto che, spesso, è riuscito ad anticipare i tempi.

Don't Look Up recensione

DON’T LOOK UP (L to R). Jennifer Lawrence as Kate Dibiasky, Leonardo DiCaprio as Dr. Randall Mindy, and Timothée Chalamet as Yule. Foto: Niko Tavernise / Netflix © 2021

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Don’t Look Up fa questo e molto altro perchè è in grado di andare oltre il paradosso e, nella sua follia iperbolica, inquadra perfettamente la società contemporanea, attraversandone ogni singola componente: dal ruolo del media alle fake news, dal sempre più labile confine tra politica e imprenditoria, interesse del singolo a discapito del collettivo, all’essenza delirante del dibattito pubblico odierno. Il ruolo del regista qui è imprescindibile perchè la sua presenza fa quasi parte della narrazione: senza per forza nascondersi dietro ad uno sguardo oggettivo della macchina da presa ma portandolo all’estremo con inquadrature instabili, la resa scenica restituisce l’idea di un reportage e di un conseguente effetto simulato di realtà. McKay già con The Big Short (La grande scommessa) aveva messo a punto il suo personale modo di raccontare il mondo in cui viviamo, vivevamo o vivremo immersi.

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Don’t Look Up recensione: una commedia dell’Arte cinematografica

Con l’esperimento del Gran Naviglio, Galileo sottolineava l’impossibilità di un’oggettività essenziale nel descrivere un meccanismo che contiene l’osservatore stesso. Con questo film non è necessario elevarsi per comprendere la nostra realtà perchè non solo è davanti ai nostri occhi ma soprattutto è dentro i nostri smartphone. Don’t Look Up è un racconto pensato per lo spettatore che inevitabilmente vede riflesso il mondo che conosce e gli appartiene, tanto che, nonostante alcuni personaggi abbiano nomi differenti, sono facilmente identificabili con personalità che hanno fatto e fanno parte della società. L’esempio palese di questo meccanismo identificativo è Sir Peter Isherwell (Mark Rylance), fondatore di un’azienda di alta tecnologia che si lancia nel tentativo di salvare la Terra con ingegnosi droni, facilmente riconducibile alla figura di Steve Jobs, non solo per il ruolo ricoperto ma anche per la vaga somiglianza fisica. Don’t Look Up nell’intento ricorda la Commedia dell’Arte in cui ogni personaggio incarna uno stereotipo e in cui si ride, tanto, ma alla fine l’amarezza è altrettanta.

Foto: NIKO TAVERNISE/NETFLIX © 2021