Poco prima del suo 70esimo compleanno, il cantante si racconta
“Sai che te dico, io mo’ me butto ar fiume”, minacciava Antonello Venditti nella sua prima canzone, “Sora Rosa”, scritta a 14 anni nel 1963. “Scaricavo nelle canzoni ciò che avevo dentro e la prospettiva del suicidio, invece di sembrarmi drammatica, mi pareva la soluzione del problema”, racconta il cantautore a Vanity Fair, nel numero in edicola da mercoledì 6 marzo, ora che di anni ne sta per compiere 70.
Li festeggia venerdì 8 marzo, Sotto il segno dei pesci, come il titolo del singolo e dell’album che uscì proprio un 8 marzo (del 1978), e a cui ha dedicato una recente riedizione e un nuovo tour appena iniziato a Bologna: le candeline verranno spente il giorno della seconda data, nella sua Roma. Il problema a cui da ragazzo cercava la soluzione, spiega nell’intervista a Malcom Pagani, era “la mia infelicità… Da adolescente grasso, se parliamo di bullismo, non avevo niente da invidiare a nessuno. Ero tra quelli che sentivano le risatine al loro passaggio e se una ragazza mi sorrideva neanche ci credevo… Mi chiamavano ‘Cicciabomba’, pesavo quasi 100 chili”.
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Non aiutava certo l’autostima il rapporto con la madre, una grecista severissima: “Sperava nei miei fallimenti, considerava le mie canzoni poco meno che spazzatura e a mio padre Vincenzo, convinta di non essere ascoltata, diceva di me: ‘Il ragazzo è cretino’ … Era talmente poca la stima che avevo di me che mi attaccavo all’unico vizio che mi era concesso: il cibo. Mangiavo tutto il giorno. Arrivato a 94 chili, ma forse anche a 98, dissi basta: ‘Ma non vedete che sono un baule?'” I suoi famosi occhiali a goccia c’entrano con una ragazza incontrata negli anni 70: “Aveva dei meravigliosi Rayban marroni… Mi raccontò che erano dello stesso modello che usavano i piloti dei bombardieri americani in Vietnam. Per fumare infilavano una sigaretta al centro della montatura perché il diametro era perfetto ed era stato studiato appositamente. Pensai: posso trasformare un simbolo di guerra per cantare la pace? Se li indosso io, forse, posso dare a questi occhiali un significato diverso. E così feci”.
A proposito di realtà, quella della musica italiana, oggi, lo entusiasma: «Non c’era un periodo di questo tipo dagli anni 70. Ci sono migliaia di ragazzi e ragazze che fanno musica e che cercano unità in questa frammentazione. Persone che mi vedono contemporaneo e non come un pezzo di passato». Il rapper Ultimo, per esempio: “L’incontro con lui è stato un miracolo di Sanremo. La notte in cui non si sapeva dove fosse finito, era al telefono con me. Abbiamo fatto le 4 e 30 del mattino. Sono stato un amico e un amico non è quello che ti blandisce, né ti fa la ramanzina, ma quello che ti dice le cose come stanno. Ultimo è molto simile a come ero io alla sua età. Solo che è partito da San Basilio, senza strumenti, mentre io venivo da un quartiere borghese e alla fine mi sono anche laureato. Ultimo è passato da 0 a 10 in pochi mesi. Ha avuto una strada stretta per arrivare dov’è, ed è pronto a rinunciare a tutto. Mi piace”.
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Nella realtà che guarda in modo non scontato c’è anche Matteo Salvini: “Parla il linguaggio dell’epoca in cui vive. In questo tempo, devi avere il linguaggio del nostro tempo. Sarebbe interessante trovare un giovane uomo o donna di sinistra che abbia la capacità di comunicare con gli altri come fa Salvini. Sul tema dei migranti, non possiamo non dire che la politica di Minniti era più a ‘destra’ di quella di Salvini. Cosa c’è di diverso? Il linguaggio. Mette una felpa della Polizia e diventa poliziotto. Ha una capacità di immedesimazione fenomenale. È credibile. E gli altri lo attaccano sul piano sbagliato: sulla Diciotti, la gente vede i risultati, e per la stessa Unione Europea, che pure ci ha attaccato a ripetizione, il caso Diciotti è chiuso. Salvini ha agito in nome di un superiore interesse nazionale, l’hanno capito tutti. Tutta Europa.”