Storia di una sindrome di stoccolma
Da sempre ormai, parlando del Festival di Sanremo, si dice, a giustificazione delle sue asincronie e delle sue caratteristiche più bizzarre, che “Sanremo è sempre Sanremo”. Questa espressione, parte del testo della sigla del 1995 scritta da Pippo Caruso e cantata da Maurizio Lauzi, è di fatto divenuta giustificatrice di tutte le stranezze del microcosmo kermesse. Una manifestazione canora fuori dal tempo, che stupisce per la sua immobilità.
Questa considerazione è particolarmente adatta alla quarta serata. Il Festival, e non c’è da girarci intorno, quest’anno zoppica. Amadeus, per giustificare quella che molti definirebbero una débâcle, ha tirato in ballo la situazione mondiale. Non ha tutti i torti. L’Ariston vuoto fa spavento. Il Covid ha impedito a Irama prima e a Simona Ventura poi di essere presenti sul palco. La normalità tanto ricercata, seppur inizialmente fonte di grande sollievo, non può che essere posticcia, anche se lo sforzo è lodevole e notevole.
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Alla domanda, dunque – di chi chiede ai coraggiosi che il festival lo stanno seguendo integralmente – se Sanremo, quest’anno, sta piacendo la risposta giusta sarebbe: “No, ma non è questo il punto di Sanremo”. Il punto di Sanremo è di trasportarci in una realtà parallela, collocata più o meno sempre a dieci anni prima, in cui la televisione è siparietti imbarazzanti, ospiti tirati fuori dal cappello a cilindro, tempi morti, problemi tecnici, 6 ore di diretta. Rassicurante.
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Il discorso si applica alla perfezione al quarto appuntamento, il penultimo, quello del venerdì. Dopo giorni di Sanremo, il venerdì è la serata in cui i telespettatori più appassionati perdono completamente ogni tipo di ritegno. Tutte le canzoni, ormai conosciute, risultano familiari e piacevoli. Tutti gli artisti, anche quelli più controversi, sono compagni di viaggio, amici per la vita. E quest’anno non fa eccezione. Perché Sanremo e Sanremo, una traversata nel mare in tempesta, una scalata faticosa, una passeggiata nel deserto, e non lo cambieremmo per nulla al mondo.
Priscilla Lucifora