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Enrico Ruggeri ci racconta la sua Rivoluzione: “Le piazze oggi? Solo un flashmob per Instagram”

Il cantante, tornato in tour con il suo nuovo album La rivoluzione, ci ha parlato di musica, di viaggi interiori e di che cosa significhi oggi fare la rivoluzione

di Beatrice Anfossi | 8 Aprile 2022
Foto: Angelo Trani / Ufficio stampa

Dopo due anni difficili per tutti, ma in modo particolare per il mondo della musica e dello spettacolo, Enrico Ruggeri è tornato a teatro con un tour dedicato al suo nuovo album La rivoluzione. Lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato il viaggio – a tratti inconscio – che ha portato alla nascita di questo progetto. Ci ha parlato del suo punto di vista sull’idea di rivoluzione, sui giovani di oggi e di ieri. Infine ci ha svelato qual è il complimento che più ama ricevere, e che cosa ne pensa del fenomeno Maneskin.

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Iniziamo parlando del suo ritorno al live nei teatri, in compagnia di grandi musicisti. Cosa significa per lei tornare sul palco dopo questi due anni?

È davvero liberatorio, un punto d’arrivo. Sono stato due anni in studio e non è mai passato un giorno nel quale, mentre lavoravamo a un pezzo, non pensassimo a quando sarebbe stato suonato dal vivo. È un bel momento per noi e anche per la gente. Nei miei concerti c’è un clima particolare, emozionante: ho conosciuto un sacco di persone che non hanno mai visto un mio concerto, ma non ho mai conosciuto una persona che avesse visto un solo mio concerto. Quindi quelli che sono venuti sono diventati degli habitué.

Enrico Ruggeri

Foto: Ufficio stampa

 

Immagino si crei un bel mix tra il nuovo e il vecchio, inteso come qualcosa a cui le persone sono affezionate. Alcune canzoni diventano parte della vita delle persone, quindi è sempre bello poterle riascoltare.

Sì, esatto. È un po’ complicato perché gli album sono tanti, e quindi ci sarà sempre qualcuno che poi dice “però quella non l’hai fatta”. E io dico: “Sì lo so, 37 album… si presuppone che un concerto sia di una venticinquina di canzoni, quindi non riesci a fare neanche il singolo di ogni album”. Però naturalmente ci sono delle canzoni chiave che vanno fatte.

E qual è in particolare secondo lei una canzone che non può mancare?

Eh, ce n’è un bel gruppetto. C’è Contessa, Mare d’Inverno, Polvere, Mistero, Ti avrò, Peter Pan, Quello che le donne non dicono. Poi anche qualcuna più recente come Primo amore, Primavera a Sarajevo. Ce ne sono una decina che sono quasi obbligatorie.

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Parliamo invece del nuovo album La rivoluzione. Che cosa ci può raccontare del percorso di scrittura che ha generato questo progetto?

Beh, i percorsi di scrittura in realtà non vengono programmati prima. A suo modo la canzone è un po’ un viaggio nell’inconscio: tu usi un aggettivo invece che un altro perché ti sembra che stia meglio, ma in realtà probabilmente è il tuo inconscio a spingerti da una parte o dall’altra. E poi abbiamo attraversato un periodo nel quale era abbastanza fisiologico guardarsi dentro ed inevitabile riflettere un po’ più del solito. C’era meno tempo da dedicare alla corsa della vita e più tempo all’introspezione. Credo che questo abbia giovato alle canzoni.

Nel brano La rivoluzione, in particolare, lei ripete più volte “Siamo quello che siamo”.  Sta parlando solo di lei o di tutta la sua generazione?

No, sto parlando di tutti. Spesso io parlo di me, ma per raccontare le storie di tanti. Il più bel complimento che mi hanno fatto è quando mi hanno detto: “Tu hai raccontato la mia vita senza conoscerla”. In realtà accade perché ci sono punti in comune nelle vite delle persone.

E la rivoluzione che cos’è per lei in particolare?

È un atteggiamento mentale. Per me la rivoluzione è prendere delle posizioni senza aver paura delle conseguenze. Su questo cito i grandi padri del cantautorato italiano, che sono Pier Paolo Pasolini, Fabrizio De André, Leonardo Sciascia. Loro dicevano cose antipatiche anche ai danni di quelli che avevano più vicino e non avevano paura di farlo.

È evidente che lei parli di un’intera generazione anche a partire dalla copertina dell’album, che è uno spaccato della sua adolescenza, perché ritrae la sua classe del liceo. Che ricordi ha di quegli anni? Cosa è rimasto nell’Enrico che è oggi di quel periodo?

Un certo spirito ribelle. Provo un po’ di disagio quando mi capita di essere all’interno di una maggioranza. Poi sicuramente quell’adolescente, come tutti i ragazzi di quella foto e come tutti i ragazzi di tutte le foto che sono state scattate, stava pensando al suo futuro. Il quale naturalmente è stato diverso rispetto a come se lo immagina, nel bene e nel male.

Foto: Ufficio stampa

 

E invece traslando il discorso sulle nuove generazioni, a cui è passato il testimone di compiere questa rivoluzione, crede che effettivamente oggi si possa ancora fare la differenza nelle aule, nelle scuole, nelle piazze?

Forse nelle aule e nelle piazze no, perché ormai anche le piazze sono un flash-mob da Instagram più che un momento di coesione. Oggi si ha una selezione naturale terribile sui giovanissimi, perché forse il 5% dei giovanissimi legge libri – dico una cifra a caso ma non credo di sbagliare di molto – e perché c’è una bassa percentuale di giovanissimi che ha una vita interiore. Quelli che ce l’hanno hanno una marcia in più, e sono quelli che vinceranno nella vita.

E del panorama musicale attuale dei più giovani cosa pensa?

Francamente non lo conosco molto, perché ho vissuto da adolescente una musica talmente intensa e bella, che qualsiasi genere ti piacesse c’era il meglio che potessi trovare, dal rock alla canzone politica. Per cui se sono a casa e ho voglia di ascoltare musica difficilmente vado a cercare le cose nuove. Sono disinformato.

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Però ha detto di aver apprezzato la vittoria dei Maneskin al Festival di Sanremo, insieme a lei sono gli unici che sono riusciti a far trionfare il rock.

Beh quello è un dato oggettivo, gli unici pezzi rock a vincere Sanremo sono stati Mistero nel 1993 e quello dei Maneskin nel 2021. Loro hanno successo globale, mica devono piacere a me. La cosa molto positiva è che sono dei ragazzi che hanno iniziato esattamente come me, andando a suonare assieme in una cantina o chissà dove. E siccome oggi mi sembra che molti siano più propensi a fare un po’ di musica sul tablet e più bravi a fare le storie su Instagram che a lanciare dei pezzi, vedo con piacere che i Maneskin sono una band, e questo già mi conforta. Poi francamente se quando sono all’estero, in quanto italiano, mi associano a loro la cosa non mi dispiace: mi sembra un bel passo avanti rispetto al passato.

Tornando invece all’album, c’è una canzone in particolare a cui è affezionato?

È un po’ troppo presto per dirlo, perché è troppo fresco. Come sempre però ci saranno canzoni che non verranno trasmesse in radio, ma che saranno probabilmente le più intense. Credo che La mia libertà, quella che chiude l’album, appartenga a questa categoria.

 

Venerdì 8 aprile, alle 0re 18.30, Enrico Ruggeri incontrerà i fan presso la libreria laFeltrinelli di Milano, Piazza Duomo.