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Il boss Matteo Messina Denaro era attivo su Facebook e Instagram, si spacciava per medico con la passione per il lusso e le donne

Il boss di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, era attivo sui social con lo pseudonimo di Francesco Averna

di Redazione Rumors.it | 25 Aprile 2024
Foto: screenshot instagram

Il boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, morto lo scorso settembre, era attivo sui social sotto il falso nome di “Francesco Averna” medico residente in Sicilia ma laureato a Milano. Più nello specifico,, su Instagram usava lo pseudonimo di F. Averna. Su Facebook, invece, era presente con il nome di “Francesco Averna“ in totale aveva cinque amici e molte pagine seguite tra cui pub, ristoranti e locali di Campobello di Mazara.

Matteo Messina Denaro, che uso faceva dei social?

Secondo quanto emerge dalle indagini dei militari del Ros, il superboss, usava Facebook per la messaggistica privata, si dilettava a scambiare battute con diverse donne, alcune delle quali le avrebbe addirittura incontrate, il suo profilo risultava chiuso senza la possibilità di vedere se e cosa pubblicava. Su Instagram, invece, emerge qualcosa in più sulla personalità del boss. Quest’ultimo, infatti seguiva numerosi profili di cui la maggior parte donne, modelle e influencer, tra le quali la cantante britannica Dua Lipa e l’influencer Michelle Comi.

I mille volti del boss Matteo Messina Denaro

Risultano due le false identità usate dal boss durante la latitanza, uno è appunto il nome di Averna, nome che da quanto emerso dalle indagini degli inquirenti veniva usato anche quotidianamente, come quando si identificò in questo modo con l’operaio che doveva riparargli la lavastoviglie nella casa di Campobello di Mazara. Mentre l’altra falsa identità usata durante la latitanza era quella di Vito Firreri, nome che usava quando andava dal tatuatore Andrea Bonafede.

Matteo Messina Denaro, continuano le indagini

Le scoperte di questi profili aggiungono altri tasselli alle indagini condotte dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, indagini volte a scoprire la rete di fiancheggiatore che hanno aiutato il boss durante la sua latitanza, difatti, queste novità sono state usate dai pm nell’appello della sentenza a carico di Andrea Bonafede condannato a 6 anni e 8 mesi per favoreggiamento aggravato. La decennale latitanza del boss evidentemente ha lasciato ombre che ancora oggi devono essere scoperte.