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Barbie, la recensione: un film-manifesto che diventa vittima dei suoi stessi ideali

Una critica al patriarcato e un manifesto femminista di cui il mondo aveva sicuramente bisogno ma Barbie di Greta Gerwing, seppur nella sua potenza, finisce per essere vittima di se stesso

di Sara Radegonda | 23 Luglio 2023
Margot Robbie in Barbie Il Film Foto: Warner Bros. Media

Sei in attesa fuori dal cinema con un biglietto in mano e, ad un certo punto, alzi la testa e ti ritrovi circondato da persone vestite di rosa – chi con solo un accessorio e chi, invece, in un fiero color block – mentre si dirigono verso la sala. E tu, di nero vestita – perché è quello effettivamente l’unico colore in cui ti senti realmente a tuo agio – e colpita dall’ormai noto disagio di chi sente sempre fuori posto, ti rendi conto che qualcosa di straordinariamente potente è effettivamente successo. Lo schermo cinematografico si è bucato e, come in Rosa purpurea del Cairo di Woody Allen, il protagonista del film ha oltrepassato la membrana e si è seduto in platea. Mentre centinaia di persone di ogni sfumatura d’età – che hanno reso la sala un microcosmo degno di uno studio sociologico – guardavano Margot Robbie e Ryan Gosling interpretare Barbie Stereotipo e Ken, la sala era già piena di Barbie e Ken, pronti ad essere una delle tante repliche. Quelle stesse repliche che nel film di Greta Gerwing occupano così tanto spazio e creano così tanto caos da essere totalmente ed evidentemente inutili – tanto da rendere insensato persino l’utilizzo di attori noti e di Dua Lipa -, condannati al ruolo eterno di controfigure, burattini dei soli due che realmente contano.

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Barbie film recensione: tra rosa, fraintendimenti e delusioni palesate

E dopo due ore di vorticose e nauseanti montagne russe di rosa, di violenti schiaffi morali, di graffianti battute, degli addominali di Ryan Gosling che per molti, tristemente, sono stati più importanti del riconoscergli il ruolo migliore del film, senza indugio alcuno. Dopo il monologo di America Ferrera (proprio lei che impersonava la “Brutta” Betty) che nel suo essere depositaria della Barbie “Normale” ha dato forma, in modo lucido e commovente, ai pensieri di ogni donna. Dopo altrettanti sbuffi annoiati e momenti di musical “dolorosi e non necessari” – esattamente come il matrimonio per Samantha Jones di Sex and The City -, mentre ti dirigi verso l’uscita e senti dire da una coppia di Barbie e Ken, con una vena di evidente delusione: “Non mi aspettavo un film così serio”.

Margot Robbie e Ryan Gosling in Barbie Il Film
Foto: Warner Bros. Media

In quell’esatto istante ti rendi conto che, con l’arrivo al cinema di Barbie Il Film, qualcosa di terrificante e illuminante è successo: che Dio fosse morto ormai ci avevamo fatto pace dal 1882, ma che fosse stato sostituito dal marketing (sfumatura attualmente eletta del capitalismo) ora è cosa certa. Il contenitore ha avuto la meglio sul contenuto: a fronte di una critica al patriarcato e di un manifesto iper-femminista come Barbie di Greta Gerwing di cui il mondo (maschile) aveva innegabilmente bisogno, la sua potenza non sarà abbastanza da sola ma avrà bisogno – in modo imprescindibile – degli strumenti di promozione, di una Margot Robbie trasformata in Barbie anche fuori dallo schermo, dalle capsule collection del fast che hanno vestito gli spettatori e di quelle del lusso che hanno vestito il cast. Nella frase che ha dominato i pensieri di molti degli spettatori c’è anche l’intelligenza scaltra e subdola di una produzione – e di una Hollywood – che la sa fin troppo lunga sull’appeal di un pilastro del pop come Barbie sulle masse superficiali.

Barbie film Ryan Gosling

Ryan Gosling in Barbie
Foto: Warner Bros.

Barbie Il film recensione: il problema del finale

Greta Gerwing e il marito Noah Baumach hanno sapientemente ribaltato la superficialità delle masse – che si sono recate al cinema spinte dall’hype e accecate al rosa –  contro di loro, mettendoli davanti non solo ai loro limiti (mi sono chiesta fin troppe volte quante delle persone che hanno comprato un biglietto sono effettivamente consapevoli del dramma del patriarcato) ma soprattutto di fronte ad una storia che non ammette superficialità. Tra l’atmosfera pop, easter eggs e citazioni meta cinematografiche: la citazione dell’incipit di 2001: Odissea nello spazio palesa, sin dal primo istante, la volontà di instaurare un dialogo con chi ha colto e sa, escludendo quasi del tutto gli altri che si trovano forzatamente immersi in un film-manifesto iper-femminista.

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Infine è innegabile come il film riesca a portare il pubblico, anche quello meno avvezzo, a comprendere l’evidente follia del patriarcato, sfruttando sapientemente l’iperbolica contrapposizione tra Barbieland e mondo reale e usando la figura chiave di Ken-Ryan Gosling come guida ironica per comprendere i meccanismi che sottendono la società. Ma per quanto l’iperbole regali il piacere della sopraffine ma immediata comprensione, se spinta all’estremo – con la continua ridondanza dei concetti – finisce per ribaltarsi nel suo contrario: nella lotta contro gli stereotipi, il film stesso finisce per sfruttarli nel suo racconto del femminismo. Alla fine Barbie decide di abbandonare il mondo patinato di Barbieland, sogno di ogni femminista che si rispetti dove erano le donne a detenere l’intero potere e gli uomini ad essere sessualizzati, per camminare a passo di Birkenstock – e non più di tacco 12 – nel mondo reale. Quel mondo maschio-centrico da cui Barbie ha sempre voluto allontanarsi.

 

Nonostante tutto, quando la mattina dopo sei ancora lì a riflettere sul significato e sulle contraddizioni di quanto visto la sera precedente – e hai voglia di parlarne con chiunque conosci -, ti rendi conto che qualcosa di straordinariamente magico succede ancora quando esci dal cinema. E forse è quella l’unica cosa che conta.