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Il monologo delle polemiche di Paola Cortellesi: il vero dramma è non saper più cogliere l’ironia

Il monologo di Paola Cortellesi, pronunciato all’apertura dell’anno accademico dell’Università Luiss, ha scatenato numerose polemiche per gli stereotipi sessisti delle fiabe. Ma l’indignazione ha, come spesso accade, oscurato il reale significato delle parole della regista

di Sara Radegonda | 17 Gennaio 2024
fonte: ufficio stampa

È dall’ironia che comincia la libertà diceva Victor Hugo. E il polverone nato dal monologo pronunciato da Paola Cortellesi, pronunciato all’apertura dell’anno accademico dell’Università Luiss, rende evidente come la spasmodica celebrazione e ricerca della libertà si sia drammaticamente ribaltata nel suo contrario, rendendoci prigionieri delle nostre stesse pretese.

La regista dei record è finita al centro delle polemiche per aver evidenziato, durante un monologo spiritoso e intriso di ironia, gli stereotipi ormai noti – sono le classiche tesi supportate dalla teoria della cancel culture – presenti nelle fiabe come Biancaneve e Cenerentola, se interpretate con gli occhi contemporanei. “Siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza il cacciatore l’avrebbe salvata lo stesso?”. Il principe di Cenerentola “non poteva guardarla in faccia” invece di portarsi dietro la scarpetta? E poi: “Biancaneve faceva la colf ai sette nani“. Queste sono state le frasi a scatenare lo scandalo, a cui sono seguiti commenti indignati come quello di Mauro Corona a È sempre Cartabianca, durante il quale ha definito le affermazioni di Cortellesi “pietose e ridicole”. Ma come fin troppo spesso accade, la verità è tutta un’altra storia.

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Paola Cortellesi monologo: l’inutilità dell’indignazione

Le frasi isolate ed estrapolate dal contesto hanno scatenato l’indignazione sui social, dove il tema della cancel culture è tornato a bussare violentemente alla porta. Ma bastava attendere la pubblicazione del monologo intero sul sito dell’Università Luiss per rendersi conto che la polemica non aveva alcun senso di esistere. Infatti il riferimento ironico alle fiabe di stampo disneyano era utilizzato in funzione esplicativa del senso strutturale del suo film C’è ancora domani, dove il meccanismo della fiaba è ribaltato e utilizzato per ricordare che non si parla di stereotipi, ma di Storia, di donne vere del 1946, di ruoli sociali e di una drammatica realtà. Dunque, le affermazioni e i riferimenti di Cortellesi non hanno altro scopo se non quello di ricordare che le fiabe sono racconti condizionati dal momento in cui sono state raccontate per la prima volta e che continuare a narrarle nello stesso modo, oggi, contribuisce a creare le Delia di tutto il mondo. Motivo per il quale è necessario creare fiabe nuove, che sappiano cogliere l’essenza del momento storico.

Il monologo di Paola Cortellesi rende evidente che di fronte alla sopraffina arte dell’ironia, praticata con grande maestria da una professionista come Paola Cortellesi, l’indignazione è diventata l’unico sentiero percorribile per sopperire e tentare di nascondere il grande dramma della contemporaneità: l’ironia è divenuta un privilegio raro.

Paola Cortellesi C'è ancora domani

Foto: Ufficio stampa/Luisa Carcavale