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Parola a Michele Savoia, l’unico italiano del cast di Ferrari di Michael Mann: “È stato un sogno”

In occasione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, abbiamo incontrato Michele Savoia, tra i protagonisti del film-biografia di Enzo Ferrari in uscita il 14 dicembre: ecco cosa ha raccontato ai nostri microfoni

di Filippo Piervittori | 14 Dicembre 2023
Foto: Rumors.it

Il 14 dicembre uscirà in tutte le sale cinematografiche italiane Ferrari, la pellicola biografica del grande Enzo Ferrari, ambientato nella Modena del 1957. Enzo Ferrari, ex pilota e costruttore delle auto più famose al mondo, sta vivendo una crisi personale e professionale: l’azienda che dieci anni prima aveva creato dal nulla è in grave difficoltà. Anche il matrimonio con la moglie Laura sta affrontando un momento davvero buio dalla morte del loro unico figlio Dino alla scoperta dell’esistenza di Piero, nato da una relazione extraconiugale di Ferrari. In cerca di riscatto, Enzo decide di puntare tutto su una gara di velocità che si disputa in Italia: la leggendaria Mille Miglia.

Il film presenta diverse novità, a partire dalla regia che vede il ritorno del maestro del cinema d’azione, Michael Mann. Nel cast – formato da grandi star di Hollywood come, Adam Driver, Patrick Dempsey e Penélope Cruz – spunta l’unico attore italiano: Michele Savoia. Durante l’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia, abbiamo avuto l’opportunità di incontrare direttamente Michele, che ci ha raccontato qualche retroscena del film.

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Uno dei film più attesi è Ferrari, dedicato al personaggio ma anche alla tradizione e al marchio. Tu invece sei bandiera italiana all’interno di un cast internazionale, come è andata?

È andata benissimo, è stato un po’ un sogno, soprattutto riuscire a far parte di un cast internazionale a cui tanti di noi ambiscono. Io per primo ambisco a lavorare nel cinema oltreoceano, perché, diciamocelo, è bello e stimolante. Poi in questo caso lo ho fatto restando in Italia e raccontando una storia italiana. Quindi questo è stato impagabile, e poi con un grande maestro come Michael Mann. Mi chiedo perché si sia fermato in questi anni, perché è davvero un grande maestro nel dirigere, nel guidare tutta la troupe sul set, dall’inizio alla fine.

Nel film interpreti Carlo Chiti, tra i grandi ingegneri visionari che hanno fatto la differenza. Affrontare un personaggio di questo genere come è stato?

È stato un grande onore perché ha reso grande la Ferrari, che è un marchio tra i più conosciuti al mondo. Mi ha spaventato anche un po’ perché era la prima volta che al cinema interpretavo il ruolo di un personaggio esistito davvero. Lì a Modena, con gente che l’aveva conosciuto, signori di una certa età, mi hanno raccontato tantissimo di lui. Alcune cose sono riuscito a metterle all’interno della storia, altre no. Però mi ha incuriosito tantissimo questo suo doppio lato. Lui da una parte era il giocherellone, quello sempre pronto a far battute, mangiava in continuazione tramezzini, mele, e ali di pollo, mi raccontavano che lui aveva questa skill che le spolpava in un attimo e se ne vantava di questa cosa. Ma al contempo uno degli uomini più geniali, che ha avuto le intuizioni più importanti e fondamentali per la Ferrari. Come nel ‘57, l’anno del film, perché ha avuto un’intuizione su una questione di motore diciamo, la semplifichiamo così, ed è riuscito a far vincere le Mille Miglia del ‘57 salvando la Ferrari, che altrimenti sarebbe forse capitolata tristemente.

 

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Venendo anche alla modalità di produzione e realizzazione del film, quali sono le differenze più importanti che hai trovato tra un cast e una produzione internazionale e le altre esperienze che hai avuto in questi anni?

Devo essere sincero, in Italia mi sono sempre trovato bene, non posso parlare male del cinema italiano che io ho vissuto, e ho vissuto una piccola parte, ovviamente. Come qualcuno di più famoso di me ha detto, Pierfrancesco Favino: “La differenza tra gli americani e gli italiani è principalmente nel budget, nel senso che coi soldi con cui noi facciamo un film intero, loro ci pagano solo il catering”. Ecco, quel catering si vedeva molto nel film. Ma al di là di questo, c’è una cura e un’attenzione maggiore, ma non dovuta a mancanza di voglia da parte degli italiani, semplicemente avendo più soldi, c’è più possibilità di esplorare, si gira tutto con più calma. Michael Mann, lo racconta anche Tom Cruise nel Making of the Collateral, fa fare i take 50/60 volte, è veramente maniacale. Poi quando ti dà un’indicazione va straight to the point, cioè ti dice una cosa, una frase che ti squarcia e ti fa capire esattamente quello che vuole; quindi, è bellissimo da quel punto di vista. Ti dà i perché, non ti dà il come farlo. Questa è una grande differenza: in Italia siamo più legati al come fare, mentre con lui ho lavorato più sul perché faccio questa cosa. Poi io concordo con quello che si dice che noi italiani siamo eroi a fare dei film con così poco budget, con la sceneggiatura arrivata un attimo prima. Quindi, come qualcun altro ha detto, sfido un americano a fare ciò che facciamo noi con i nostri tempi e i nostri mezzi. Quindi secondo me le differenze ci sono, ma non abbiamo nulla da invidiare al cinema americano, dobbiamo essere fieri comunque.

Locandina "Ferrari"

Qual è la cosa che ti porterai addosso dopo questa esperienza con il film Ferrari?

È tanto. Tanto lavoro su un’estrema verità, sul qui ed ora, anche lavorando con Adam Driver, dovevi stare lì, non c’era possibilità di escamotage. E la semplicità che Michael Mann ci richiedeva nel recitare. Come nella vita, no? Questo è stato molto molto interessante. A volte noi attori per narcisismo cadiamo in espressioni manieristiche, e invece lui dice: “Perché? Perché, tu nella vita lo faresti questo?”. E poi tanti, tanti ricordi bellissimi. Aver vissuto questi momenti con un cast del genere. Adam Driver e Patrick Dempsey, il giorno del mio compleanno, mi hanno cantato “Happy birthday Micheli” perché il giorno del mio compleanno ero sul set. Quindi tantissimi ricordi del genere, unici, impagabili. Ho imparato tanto. È inspiegabile il modo con cui lui dirige. La professionalità, il silenzio che esige sul set, non vuole che nessuno entri. Da quando entra il primo cast in scena a recitare, nessuno, neanche del trucco e parrucco, costumi, può entrare a fare ritocchi, a sistemare, eccetera, perché si deve creare una bolla di concentrazione unica e questa è veramente stata una bella palestra.