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Calvin Klein, le campagne scatenano la polemica: ancora troppo ancorati al double standard

La campagna di Calvin Klein di FKA Twigs è stata censurata in Gran Bretagna perché considerata “estremamente offensiva e troppo sensuale”: ecco perché è sbagliato lasciar sempre giudicare lo spettatore

di Eleonora Galli | 12 Gennaio 2024
Foto: Calvin Kleins campain "Calvins or nothing" by @mertalas and @macpiggott

Calvin Klein, noto brand di abbigliamento e intimo, è famoso per le sue campagne che vedono come protagonisti volti noti dello spettacolo, del cinema, della musica e della moda. L’ultima campagna ha fatto chiacchierare moltissimo per il suo protagonista, l’attore Jeremy Allen White, le cui fotografie sono spopolate sui social e hanno generato moltissime reazioni entusiaste da parte degli utenti del web. Un sogno per un brand, no? Generare una campagna che sia sulla bocca di tutti e che sia virale. Purtroppo però ultimamente per ogni traguardo raggiunto, c’è un’amara sconfitta.

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Perché è sbagliato censurare le foto di FKA Twigs per Calvin Klein

Infatti, nelle scorse ore sono state censurate le fotografie della campagna pubblicata nella primavera del 2023 “Calvins or nothing” che vedeva posare nude Kendall Jenner e la cantante FKA Twigs – concept estremamente chiaro espresso proprio dal claim della campagna. Gli scatti della cantante però sono stati censurati nel Regno Unito perché “troppo sensuali”: ma non vi è nulla di diverso rispetto. alle altre campagne proposte da Calvin Klein e divulgate sui loro canali social. Infatti, la modella è mezza nuda e si copre le parti intime con una giacca di jeans; scatti non distanti da quelli della modella Kendall che si mostra con addosso solamente un paio di jeans e interamente in topless.

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Tuttavia, secondo l’ASA (Advertising Standards Authority britannica) lo scatto attirerebbe più l’attenzione sul corpo della cantante che sul prodotto in sé, ovvero la giacca di jeans. Anzi, la cantante sarebbe stata rappresentata in questa campagna con caratteristiche fisiche da “un oggetto sessuale stereotipato” e per questo rimosse poiché considerate “estremamente offensive per lo spettatore”. Ma quale sarebbe la differenza tra la foto di FKA Twigs e quella di Kendall Jenner? Apparentemente nessuna. E tra gli scatti della cantante e quelle della recente campagna di Jeremy Allen White? Ancora meno e qui si potrebbe aprire un capitolo considerato addirittura scomodo per molti.

Per Calvin Klein, Jeremy Allen White sì ma FKA Twigs no: la rappresentazione del corpo della donna

Se gli scatti di Jeremy Allen White sono considerati sensuali (e ricordiamo che l’attore posa con un paio di slip bianchi, a petto nudo e mentre si sposta leggermente l’indumento per mostrare il pube), perché quelli di TKA Twigs dovrebbero urtare la sensibilità altrui? Ancora nel 2024, il corpo della donna è considerato un tabù, a meno che non sia il corpo di una modella? Il pensiero è inevitabile che viri subito ad una sorta di maschilismo e servilismo del corpo femminile solo per contenuti vietati ai minori. Anche la stessa FKA ha voluto commentare la questione esprimendo tutto il suo disappunto: “Io non vedo “l’oggetto sessuale stereotipato” di cui parlano. Vedo una bellissima donna di colore, forte, il cui incredibile corpo ha superato più dolore di quanto possiate immaginare. Dopo aver esaminato altre campagne, passate e attuali, dello stesso tipo, non posso fare a meno di sentire che in questo caso ci siano stati dei doppi standard”.

Come insegnano a scuola, è lo spettatore che dà forma all’oggetto: mostrare un uomo a petto nudo è culturalmente accettato, mentre una donna nuda è vergognoso, vouyeristico e pruriginoso. Eppure sono corpi nudi entrambi, eppure il corpo della donna è ancora considerato qualcosa di estremamente privato, da custodire ed elogiare come qualcosa di sacro e per questo non può essere messo sotto lo sguardo di tutti, ma è di proprietà di pochi. Per non parlare della matrice razzista di questa azione: perché TKA e non Kendall?

La soluzione sarebbe più che semplice: invece di pensare ad un decoro che forse aveva ancora una valenza 100 anni fa, bisognerebbe imparare ad ascoltare chi il corpo decide di “prestarlo” agli altri (fosse anche a scopo di lucro). Lo spettatore dà vita all’oggetto, ma anche l’oggetto comunica allo spettatore ed è materia viva e ha potere sullo spettatore (Roland Barthes mi perdonerà per la licenza poetica). Lasciamo che una volta sia il soggetto a decidere per sé stesso e non chi lo guarda; d’altronde nessuno è obbligato ad osservare ciò che non gli piace, l’azione “scorri” sui social è stata inventata proprio per questo.

 

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