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Il caso di Giovanna Pedretti: la ricerca della verità non deve essere una colpa

Il caso della recensione che ha coinvolto la ristoratrice Giovanna Pedretti ha fatto emergere un intenso dibattito in merito al ruolo dell’informazione (sempre più superficiale) e della verità, la quale si mescola al perverso e disintermediato meccanismo dei social

di Sara Radegonda | 15 Gennaio 2024
Foto: Screenshot RaiPlay

La ricerca della verità è divenuta oggi una missione da rifuggire, una colpa? E di conseguenza il mestiere del giornalista, un atto di  peccaminosa mancanza di sensibilità?

Sono questi gli interrogativi che emergono alla luce della tragica vicenda che ha coinvolto Giovanna Pedretti, proprietaria della pizzeria Le Vignole, la quale è passata nell’arco di poche ore da eroina a oggetto di un enorme shitstorm social, spingendola a quello che, secondo le prime supposizioni degli inquirenti, sembra a tutti gli effetti un gesto estremo. La ristoratrice lodigiana era balzata agli onori della cronaca in seguito ad un servizio del Tg3 in cui veniva esaltato il coraggio dimostrato di fronte ad una recensione omofoba (“Mi hanno messo a mangiare di fianco a dei gay” lamentava il cliente), a cui aveva risposto: “A fronte di queste bassezze umane e di pessimo gusto, credo che il nostro locale non faccia per lei”.

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Giovanna Pedretti recensione, le accuse e il tragico epilogo: il caso

Lo screenshot della risposta della ristoratrice le aveva procurato grande stima sul web, fino a quando la veridicità della recensione non è stata messa in dubbio dal post di Lorenzo Biagiarelli, compagno di Selvaggia Lucarelli: “Diamo un’occhiata allo screenshot. Sembra falso” ha dichiarato lo chef a seguito del quale ha elencato le proprie perplessità in merito all’autenticità della recensione, sottolineando infine: “Se lo screen fosse davvero falso, ci troveremmo di fronte a parecchie implicazioni scomode. Non solo l’utilizzo di abilismo e omofobia come leva di marketing, ma anche l’inesistente controllo della veridicità del materiale digitale da parte della stampa”. Accuse supportate anche da Selvaggia Lucarelli, di fronte al quale Giovanna Pedretti aveva risposto dicendo di essere “caduta in un tranello” – le accuse di Biagiarelli non sono attualmente state confermate -, trasformando l’amore e la stima in odio, sfogato senza alcun ritegno sui social. Inoltre, in seguito al ritrovamento del corpo senza vita della ristoratrice, è riemersa l’ombra degli effetti estremi della gogna mediatica e della pericolosità dei social, di fronte a situazioni di questo genere.

 

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Giovanna Pedretti caso mette in luce il drammatico rapporto con la verità

Di fronte alle accuse di aver innescato una gogna mediatica – che secondo superficiali congetture avrebbero spinto la ristoratrice ad un gesto estremo (la causa della morte non è ancora stata confermata) – Selvaggia Lucarelli ha risposto: “La signora diventa l’eroina nazionale. La signora è la star del giorno. Qualcuno si prende la briga di fare debunking. Qualcuno dice che la notizia che è in home su tutti i giornali è falsa. Normale amministrazione ormai. Purtroppo. La signora viene trovata morta”, ha esordito per poi aggiungere: “I social sono pericolosi, la cattiva informazione è pericolosa, la superficialità è pericolosa. La distanza tra l’altare e la polvere è un nanosecondo”. Parole che mettono in evidenza un pericoloso tarlo che riguarda la contemporaneità: da un lato la superficialità che sottende, fin troppo spesso, l’informazione (in cui la verifica delle notizie passa in secondo piano); dall’altro i risvolti pericolosi della mancanza di disintermediazione (e educazione) presente sui social, in cui le persone che regalano commenti positivi sono – a pochi secondi di distanza -, le stesse pronte a riservare valanghe di odio.

Nonostante l’innegabile mancanza di sensibilità da parte di Selvaggia Lucarelli in seguito ai risvolti drammatici della vicenda, la giornalista ha contribuito a mettere in luce un elemento fondamentale della vicenda che riguarda il rapporto con la verità: “Se ogni persona che tanta di ristabilire la verità in una storia, grande o piccola che sia, dovesse incontrare questo epilogo, a quel punto dovremmo chiudere tutto, giornali e social”. Dunque se da un lato sembra legittimo chiedersi se esistano modi altri – rispetto all’accanimento di Selvaggia Lucarelli – per far emergere le proprie considerazioni di giornalista, dall’altro è evidente come casi di questo genere non possano lasciar passare il messaggio che la ricerca della verità sia, necessariamente, una colpa.